2016-2017News & Articoli

Serata sul tema del Cyber Bullismo

Qui di seguito il testo della Relazione del Dott. Rosario Lupo 

Il Bullismo è un concetto che per la prima volta è stato utilizzato come termine tecnico in Svezia all’inizio degli anni ’70 ed è diventato oggetto di attenzione specifica in Italia (al di là della letteratura e della cinematografia) nel 1983 quando è uscito un libro che analizzava il fenomeno dell’aggressività nella scuola, in quanto è soprattutto nella scuola e nei luoghi alla stessa legati (palestre, mezzi di trasporto, luoghi di riunione degli studenti, ma anche oratori e altri luoghi di aggregazione di giovani; oggi i siti WEB) che tale fenomeno di prevaricazione di minori su minori si osserva e si verifica.

Come tutti i fenomeni complessi (varie sono le forme di bullismo, le sue concrete manifestazioni, le cause e i contesti di appartenenza) è difficile darne una definizione esaustiva.

Si può, con una dose di inevitabile approssimazione, affermare che per bullismo si intendono tutti gli atti volti a produrre un danno fisico, materiale, morale o relazionale a un coetaneo (e comunque a quello che in gergo minorile si chiama a un “pari”, quindi a un altro giovane); il bullo prende di mira la vittima intenzionalmente con una condotta mai occasionale ma progettata.

I fatti avvengono nella quasi totalità delle ipotesi alla presenza di altre persone i(anzi, la presenza di altre persone – IL GRUPPO – è intenzionale in quanto rafforza l’intento di umiliare la vittima); spesso gli altri ragazzi intervengono passivamente, nel senso che di solito non fanno nulla se non prendere le parti del bullo (si parla dei cc.dd. attendenti); sono spesso coinvolti nella denigrazione della vittima o nella consolazione del bullo.
Non si tratta mai di singoli episodi ma di condotte vessatorie e “criminali” ripetute nel tempo che provocano nella vittima seri danni, non solo all’incolumità fisica o al patrimonio (si pensi ai danneggiamenti o alle sottrazioni di oggetti appartenenti alla vittima) ma di carattere esistenziale e psicologico che, possono, in alcuni casi (come la cronaca insegna) anche portare a gravi conseguenze (suicidio, atti di autolesionismo, isolamento, non andare più a scuola o alle attività sportive, reazioni anche sopra le righe – la vittima diventa bullo a sua volta? -, depressione e stress psicologici di varia natura e intensità).

Spesso le differenze tra bullo e vittima sono inesistenti; si tratta a volte di soggetti entrambi deboli e fragili che rispondono in modo diverso alla loro sofferenza esistenziale.
Sul rapporto bullo/vittima si è anche sottolineato come spesso tra bulli e vittime si crea una relazione particolarmente intensa costituita da un legame psicologico forte proprio in virtù delle loro reciproche debolezze, come se l’uno avesse bisogno dell’altro per dare forma al difficilissimo percorso di costruzione di una identità sociale.

Ma qui si entra in un campo (psicologico, sociologico, antropologico) alquanto complesso.
Circa le cause mi limito a sottolineare come da un punto di vista sociologico i giovani oggi, ancor più che in passato, vivono in modo altamente problematico il passaggio dall’età infantile alla condizione di adulto.

E’ infatti un dato di fatto che, da un lato, i tempi biologici si sono accorciati (l’età della pubertà risulta essersi di molto abbassata e la sessualità, con tutto ciò che comporta in consapevolezza, accettazione di sé e dell’altro, problematiche di approccio e relazionali, è sempre più precoce; dall’altro i tempi di inserimento socio lavorativo si sono sempre più dilatati.
Pertanto la maturazione precoce determina un disagio che talvolta è espresso con condotte prevalentemente rilevanti (aumentano i casi di violenze sessuali tra minorenni e in particolare le violenze di gruppo, a volte molto brutali e con sentimenti di disprezzo nei confronti delle vittime.
Questo vivere in gruppo, peraltro con perdita (o comunque forte attenuazione) della propria dimensione individuale (complice anche la crisi della famiglia come tradizionalmente intesa e delle altre istanze educative come la scuola) comporta nell’adolescente lo sviluppo di una significativa “confusione di atteggiamenti e di ruoli, soprattutto perché non si sente supportato o, al contrario, sente di essere eccessivamente pressato dalla società; tale condizione genera superficialità nell’agire, probabilmente per l’assenza parziale o totale di giudizio critico; per esempio, nei reati di gruppo, difficilmente si assiste alla dissociazione di qualcuno, probabilmente per paura del giudizio o delle ripercussioni degli altri; spesso anche coloro che, a una ricostruzione dei fatti, appaiono meno motivati a partecipare, agiscono in maniera automatica e assolutamente acritica”.

Molto si è scritto in materia; in questa sede è sufficiente sottolineare come il minore che delinque e prevarica sugli altri (il nostro bullo) non è altro da noi; i giovani che delinquono sono sotto casa (quando non in casa), nel cortile della scuola, in palestra, presso gli amici; vi è una prossimità alle istituzioni, pubbliche o private che siano; la differenza la fa la risposta degli adulti; se la risposta è adeguata il giovane cresce e impara le regole di convivenza civile, se è inadeguata si può andare incontri a comportamenti devianti seri e pericolosi per il giovane e per gli altri.

E’ difficile dare numeri ma il fenomeno (che è sempre esistito) è ora in fase di continua espansione anche grazie alle “opportunità” che offre il WEB di cui parlerà la d.ssa GIANNATTASIO.

Numerosi sono i fatti di bullismo che vengono portati all’attenzione del Tribunale per i minorenni in quanto le condotte costituiscono spesso reati; importa relativamente in questa sede parlare dei reati più comuni (segnaliamo i delitti contro la persona – lesioni, percosse violenza privata, violenze sessuali, stalking – o meglio atti persecutori – diffamazione, ingiuria – ora depenalizzata ma resta illecito civile risarcibile -, minaccia e quant’altro; delitti contro il patrimonio – furti, rapine, estorsioni , danneggiamenti).

Solitamente le vittime sono caratterizzate da qualche elemento di diversità (per caratteristiche fisiche, sociali o familiari, disabilità, colore della pelle provenienza geografica, tendenze sessuali) e comunque sono persone per vari motivi fragili (particolarmente timide).
I “carnefici” sono invece, il più delle volte, ragazzi che ritengono (e in questo aiutati da una società in cui su tutto primeggia la cultura del mercato, del denaro e un individualismo pressoché senza limiti) che “tutto sia possibile” e che sono poco consapevoli delle conseguenze delle loro azioni; anche perché spesso le condotte non costituiscono reati gravi – pensiamo alle ingiurie e alla diffamazione – e comunque non vengono percepite come anti sociali e devianti ma come scherzi e ragazzate spiegabili con la leggerezza e l’immaturità adolescenziali); ma tale percezione di non gravità è assolutamente non giustificata rispetto alle gravi conseguenze che un atteggiamento reiterato di prevaricazione e umiliazione può avere sulla vittima (spesso il bullismo c.d. indiretto, cioè quello dell’isolare la vittima attraverso il mormorio, gli sguardi, il detto e non detto – tipico delle ragazze essendo in ragazzi più diretti – fa danni altrettanto se non maggiormente gravi degli atti di bullismo diretti e tradizionali).

Come sopra accennato la risposta degli adulti è importante se non fondamentale.

Senza voler dare facili giudizi su mondo degli adulti (spesso poco attento alle dinamiche dei minori e alle loro relazioni) e sulla incapacità educativa che oggi appare palese, , spesso l’adulto (il genitore, ma anche gli insegnanti) tende a minimizzare tal vicende (sono ragazzate):
Si tende inoltre a chiudere il canale di comunicazione e anche di contrapposizione con il mondo giovanile; manca uno scontro generazionale; mancano luoghi di “parola” di cui il giovane inconsciamente sente il bisogno; il ragazzo è spesso lasciato solo con se stesso e le proprie emozioni che in qualche modo vanno incanalate; e spesso resta solo la banda.
Inoltre si ritiene e a torto che il problema non ci riguardi e che appartenga ad altri ritenendo che il bullo sia figlio della periferia (intesa in tutti i sensi: urbana, sociale, familiare, lavorativa, economica) mentre in realtà spesso sono i nostri figli bulli o vittime e non ce ne accorgiamo o facciamo finta di non accorgercene.

E quindi, consapevole che in questa sede è difficile potere approfondire cause e rimedi, forse esempi concreti possono far capire meglio.

Riporto un caso che ho affrontato direttamente nel mio ruolo di giudice penale minorile e che mi ha profondamente turbato.

Il reato contestato a due ragazzi (figli di una c.d. buona famiglia, ora studenti universitari, all’epoca studenti liceali; avevano tra i 15 e i 17 anni durante il periodo, di oltre due anni, in cui i fatti sono avvenuti) era il concorso nei reati di violenza privata e stalking

attraverso le seguenti condotte:

minacciandolo di percosse, poi effettivamente poste in essere (attraverso calci, pugni e schiaffi, spegnimento di sigarette sul corpo e sparandogli addosso con una pistola giocattolo a pallini)
costringevano Caio a obbedire a tutti i loro ordini ed in particolare ad andare a fare varie commissioni per loro in un tempo determinato, a lavare la Minicar 50 dell’imputato 1 (X1) almeno una volta alla settimana, a mangiare lombrichi e a bere un infuso di sigarette, sputi e foglie, a bere nelle pozze d’acqua piovana, nonché gli vietavano di fumare o bere quello che voleva, di frequentare le persone a sua scelta e di vestirsi secondo il suo gusto, nonché a picchiare il minore Tizio;
con le stesse modalità minacciavano e molestavano lo stesso Caio (persona offesa 1, in modo da cagionare in lui un grave stato di ansia e di paura, da ingenerare un fondato timore per la sua incolumità e da costringerlo ad alterare le proprie abitudini di vita;
Inoltre
minacciandolo altrimenti di picchiarlo ed in effetti picchiandolo o facendolo picchiare da Caio (persona offesa 1),
costringevano Tizio a obbedire a tutti i loro ordini, in particolare a non frequentare più i suoi amici, a fare per loro commissioni di vario tipo in un tempo determinato, ad offendere altre persone ed altro;
con l’aggravante di aver commesso il fatto ai danni di un minore;
in Toscana dall’inizio 2008 al giugno 2010

Per semplificare, si è trovata una soluzione in qualche modo soddisfacente sottoponendo i due ragazzi, con il loro consenso, a un congruo periodo di messa alla prova, prescrivendo loro (che nel frattempo avevano avuto modo di scusarsi con le vittime, tanto che queste avevano ritirato la denuncia) a tenere alcune condotte da cui evincere la loro acquisita consapevolezza del disvalore di quanto commesso e quindi una sostanziale presa di distanza dai loro passati comportamenti devianti e criminali.

Nella scelta delle prescrizioni ritenute idonee per quella specifica ipotesi tra le altre si è imposto ai ragazzi di svolgere un’attività c.d. socialmente utile a favore di ragazzi
disabili al fine di far toccare loro con mano la sofferenza e l’emarginazione.

Si è quindi fatto ricorso a una procedura prevista dal codice di procedura penale minorile che, al fine di rieducazione e risocializzazione, tende (anche attraverso un percorso che ha una qualche valenza sanzionatoria) a far uscire il ragazzo dal circuito penale in modo positivo e anche utile alla sua crescita.

E ciò è in linea con la tendenza a un diritto penale non punitivo (o almeno non solo punitivo) ma effettivamente educativo.
Concludo sottolineando quanto sia importante creare uno spazio di comunicazione con i ragazzi cercando di valorizzare le loro capacità; la sfida è quindi quella di riaffermare le capacità degli adulti di avere un ruolo educativo 8anche attraverso esempi) troppo spesso trascurato.

NOTE

1-“L’aggressività nella scuola” pubblicato da Bulzoni e tradotto da G.V. CAPRARA

2- Per chi volesse approfondire la condizione giovanile si segnala il libro di Umberto GALIMBERTI “L’ospite inquietante” in cui l’autore parla di nichilismo giovanile (inteso come assenza di un fine), di individualismo esasperato, di mancanza di risposte alla domanda sul senso stesso dell’esistenza che appare “priva di senso”, non essendo i giovani – anche per l’emarginazione che hanno nelle società odierne - in grado di valorizzarsi).

3- Massimiliano FABI (dirigente psicologo ASL Nai Centro, USSM di Napoli, psicoterapeuta, esperto di psicologia giuridica)“Le condotte a rischio degli adolescenti ai tempi della crisi” in Minori e Giustizia n. 4/2013)

4- Tra i criteri di selezione delle vittime è la diversità a primeggiare: aspetto estetico (67% M – 77% F), la timidezza (67% M – 71% F), l’orientamento sessuale (56% M – 62 F); essere straniero (43%), l’abbigliamento (48%), la disabilità (31% M – 36% F)

5- Il principio cardine della giurisdizione minorile è quello (per quanto possibile) di estromettere il minore dal circuito penale perché la sottoposizione a processo può pregiudicare i reinserimento del minore nella società e quindi:
pena detentiva come extrema ratio e che abbia la minore durata possibile (Corte Costituzionale sentenze nn. 120 del 1977 e 46 del 1978), anche per la sua valenza criminogena;
estromissione dle minore dal circuito penale il pima possibile (e ciò anche in relazione a fatti molto gravi) “aiutandolo nel recupero sia sl piano personale che su quello sociale” anche prevedendo misure alternative (Corte Costituzionale sentenza n. 16 del 1981).
La normativa internazionale parla di riconoscimento in capo ai minori della titolarità di diritti e interessi legittimi trattandosi di soggetti ancora in formazione e quindi meritevoli di particolare comprensione da parte della società e delle istituzioni chiamate a giudicare le loro condotte devianti.
Dalle fonti internazionali emerge quindi un DIRITTO PENALE MINIMO all’insegna di DECRIMINALIZZAZIONE, DEGIUDIZIALIZZAZIONE, DIVERSIONE (ricorso a vie extragiudiziarie) e DEISTITUZIONALIZZAZIONE e tenendo conto dei principio di umanità e dignità umana.
In tale ottica (privilegiare le misure con impatto educativo e riparatorio) :
sul piano cautelare vanno incrementate le misure come le prescrizioni;
sul piano sanzionatorio e processuale istituti come
a1. l’irrilevanza del fatto (art. 27 dpr 448/88)
a2. la messa alla prova (artt. 28 e 29)
Vi è poi la mediazione o conciliazione tra reo e vittima (in Italia siamo indietro); si tratta di un percorso di incontro, confronto e dialogo tra autore del reato e vittima anche per permettere il passaggio dalla condotta illecita o devianza al riconoscimento di responsabilità del minore.

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