2016-2017News & Articoli

Serata sul Tema “La gestione del ciclo dei rifiuti: problema da risolvere o opportunità da cogliere?”

Qui di seguito il testo integrale della relazione del Dott. Massimo Nardini.

Buonasera
Innanzitutto mi sia consentito un sentito ringraziamento ai Presidenti dei Lions club Palazzo Vecchio e Michelangelo per aver organizzato questo incontro incentrato sulla trattazione, seppur sommaria dato il limitato tempo a disposizione, di un tema assai complesso e di stringente attualità, come quello dei rifiuti, che tocca e condiziona la vita quotidiana di tutti noi. E grazie a voi tutti per essere venuti così numerosi, sperando di potervi offrire una panoramica d’interesse e non solamente giuridica della problematica in argomento.
La gestione integrata del ciclo dei rifiuti riassume in sé le tematiche, da armonizzare e conciliare, della compatibilità ambientale e della sostenibilità economica delle scelte pubbliche; ambiente ed economia individuano infatti settori che interagiscono continuamente tra di loro, secondo un’ottica di complementarietà e di reciproco bilanciamento.
Orbene, il tema dell’ambiente (e, a maggior ragione, quello dei rifiuti) ha in sé una peculiare “trasversalità” rispetto agli altri ambiti di pubblico interesse; si potrebbe dire che, anche in questo, l’ambiente condivide la natura propria dell’economia, essendo entrambi ben presenti in ogni decisione pubblica quale valore e parametro di cui il Legislatore deve tenere conto.
Non a caso, si fa sempre più riferimento alla “green economy”, intesa come organizzazione logistico-industriale deputata alla gestione integrata del ciclo dei rifiuti, visti sempre più come risorsa più che come mero problema da risolvere nel modo più “indolore” possibile.
Nel contempo, l’ambiente e la sua tutela opera in stretta sinergia con il diritto europeo, trovando frequentemente in esso incentivi nell’introdurre leggi di protezione ambientale proprio nella disciplina normativa di Bruxelles, oltre che nelle procedure di infrazione che intervengono in caso di inadempienza dei vincoli e delle regole imposte.
Ciò vale soprattutto nel campo della gestione integrata del ciclo dei rifiuti che, lungi dal consistere solamente in una serie di prescrizioni da adempiere pena l’irrogazione di sanzioni, rappresenta un’occasione per abbracciare una prospettiva d’analisi allargata ai molteplici interessi pubblici in gioco, nella consapevolezza che solo con un approccio “integrato” al problema è consentito il raggiungimento di ambiti risultati.
Per una compiuta analisi, il tema dei rifiuti non può certamente disgiungersi da una accorta attenzione alle specificità del territorio e della “temperie” storica in cui certe scelte vengono compiute; al tempo stesso, è necessario il concorso di una pluralità di fattori per poter puntare convintamente a quel modello di “economia circolare” che l’Europa stessa intende promuovere.
In tale quadro, valga un precedente indicativo: in Italia, la raccolta differenziata gestita con modalità “industriali” è stata avviata nel 1973 a Modena, quando l’azienda municipalizzata cominciò a raccogliere separatamente i rifiuti urbani riciclabili (quali cartone, vetro, metalli) per poi rivenderli a utilizzatori presenti in loco.
Indicativo è il fatto che ciò avvenne a Modena, cioè in una città di poco più di 170.000 abitanti all’epoca, a testimonianza del fatto di come le piccole realtà rappresentino un “volano” per una gestione virtuosa dei rifiuti urbani; indubbiamente, ancor oggi nei piccoli comuni risulta più facile promuovere la raccolta differenziata rispetto alle città più grandi, essendo queste ultime forzate a promuovere un’organizzazione quanto più efficiente possibile per la raccolta differenziata.
Parimenti importante è da sottolineare il fatto che il 1973 è stato proprio l’anno della crisi petrolifera, cioè nel momento in cui si viene ad interrompere quella crescita inarrestabile iniziata all’indomani della seconda Guerra Mondiale; tale coincidenza temporale sembra voler sottolineare che l’attenzione sulla gestione dei rifiuti è connessa, per molti aspetti, alla percezione della limitatezza delle risorse e alla necessità conseguente di “risparmiare materia”.
Questo piccolo esempio è strumentale per introdurre e sviluppare il tema oggetto di quest’incontro.
Innanzitutto, la gestione dei rifiuti è strettamente connessa alla peculiarità del contesto territoriale urbanistico e sociale: un Paese con circa ottomila comuni come l’Italia presenta le caratteristiche potenziali per dare vita ad un adeguato ciclo dei rifiuti, grazie proprio alla prossimità rispetto alle realtà locali che consentono l’impiego di procedure, quali il cosiddetto sistema del “porta a porta”, adeguate alle “piccole dimensioni”, trovando ancor più giovamento dal “controllo sociale” tipico di comunità non troppo estese.
Inoltre, esiste uno stretto rapporto tra ambiente ed economia che proprio la realtà attuale pone alla nostra attenzione; uno degli effetti “positivi” di una congiuntura economica non particolarmente favorevole è proprio quello di farci avvertire il “limite” delle risorse disponibili e di portarci a consumarne lo stretto necessario, puntando al riutilizzo dei beni quando possibile.
L’idea del rifiuto come una “risorsa” trae origine proprio da questa percezione di dover adottare scelte di consumo oculate, valorizzando quei prodotti che fino ad oggi noi tutti prendevamo in considerazione quando si trattava di dovercene disfare.
Tra l’altro, poiché la gestione dei rifiuti ricomprende, seppur in via residuale (come fra poco si avrà modo di evidenziare), anche il ricorso alle discariche, il “vincolo” ineluttabilmente ricomprende anche la questione del consumo del suolo; l’erosione progressiva dei terreni disponibili determina una minore disponibilità di siti ove allocare le discariche o, quantomeno, rende problematica la sottrazione di tali terreni stessi ad altri impieghi che potrebbero essere più produttivi e, molto probabilmente, meno impattanti dal punto di vista della tutela ambientale.
La prima normativa di riferimento in materia di rifiuti è il DPR n. 915 del 1982, con il quale viene dato il primo impulso “organico” alla raccolta differenziata, fermo restando il principio dello “smaltimento”.
Giova evidenziare al riguardo che si tratta di una disciplina attuativa della Direttive CEE n. 75/442, relativa ai rifiuti, della Direttiva CEE n. 76/403, inerente allo smaltimento di taluni composti (in particolare, i policlorodifenili e i policlorotrifenili), nonché della Direttiva CEE n. 78/319 concernente i rifiuti tossici e nocivi; l’origine comunitaria della prima disciplina nazionale sui rifiuti rappresenta un importante indicatore dello stretto collegamento tra normativa europea e disposizioni nazionali in materia, che continua ancora oggi se si considera il ruolo centrale della Direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti.
Questa direttiva ha stabilito, tra l’altro, una sorta di gerarchia dei rifiuti, poi recepita nell’ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 205 del 2010, ponendo l’obiettivo di prevenzione del rifiuto come priorità e demandando a soli casi marginali il ricorso allo smaltimento in discarica:
prevenzione;
preparazione per il riutilizzo;
riciclaggio;
recupero per altri scopi (es. energia);
smaltimento (discarica).
L’UE considera le discariche come una modalità di smaltimento dei rifiuti cui ricorrere solo in via residuale; nelle proposte in corso di elaborazione per nuove direttive in materia, si sta valutando la possibilità di vietare agli Stati di finanziare la realizzazione di nuove discariche, ammettendo al più interventi per la chiusura delle stesse ovvero per l’avvio e la conclusione delle bonifiche di siti di discariche preesistenti.
In ogni caso, il ricorso alla discarica non può essere immaginato come una mera “valvola di sfogo” per tutti quei rifiuti che non si riesce a recuperare o riciclare; detti rifiuti devono infatti essere preliminarmente inviati agli impianti di trattamento meccanico biologico, che pongono in essere una forma di pretrattamento prima dello smaltimento in discarica.
In tal modo, si migliora la stabilità biologica dei rifiuti, riducendone l’umidità e il volume, inoltre si incrementa il potere calorifero dei rifiuti per rendere più efficiente il processo di combustione per arrivare ad avere, alla fine del processo, una riduzione del peso e del volume dei rifiuti stessi oggetto del trattamento.
La direttiva 2008/98/CE non fissa obiettivi di raccolta differenziata ma indica specifici targets per la preparazione, il riutilizzo e il riciclaggio di specifici flussi di rifiuti; in particolare, entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di specifici rifiuti (carta, vetro, metalli, plastica di origine domestica e possibilmente di altra origine simile a quella domestica) dovrà essere incrementato almeno del 50% in termini di peso.
Oggi gli obiettivi del ciclo integrato dei rifiuti sono i seguenti:
intercettare la quantità massima di frazione riciclabile;
ottenere frazioni riciclabili quanto più possibili “omogenee” per qualità;
organizzazione della raccolta differenziata fatta in modo che sia economicamente sostenibile per la popolazione.
Secondo i dati del Rapporto Ispra 2016, il livello di raccolta differenziata in Italia è pari al 47,5%, nel mentre per le città superiori ai 200.000 abitanti la percentuale si abbassa al 36,3%. Tale “discrasia” è da ascrivere al fatto che nelle piccole città la cultura e la pratica della raccolta differenziata trovano condizioni più favorevoli rispetto alle grandi città dove la produzione dei rifiuti viene maggiormente influenzata dalla presenza dei pendolari e dei turisti.
Al riguardo, giova sottolineare come un’adeguata raccolta differenziata (fissata al 65% entro il 31/12/2012 dall’articolo 210 del d.lgs. n. 152 del 2006) rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere un effettivo recupero di materia, per la quale è richiesto un’attività di riciclaggio e recupero parimenti adeguata.
In base ai dati relativi al 2015, il riciclaggio in Italia arriva al 44% circa, il ricorso alla discarica al 26%, mentre il 19% dei rifiuti sono inviati a termovalorizzazione.
Mentre la raccolta differenziata si basa su aspetti logistico-organizzativi in modo da garantire una capillare rete di contenitori (ovvero un servizio porta a porta) e un servizio efficiente, cui si aggiunge la responsabilità dei cittadini nel differenziare i rifiuti da loro stessi prodotti (e magari a ridurne per quanto possibile l’ammontare), il ciclo integrato dei rifiuti comprendente (anche) le fasi successive a quella della raccolta richiede una struttura impiantistica sviluppata, nell’ottica di ridurre al minimo il ricorso alla discarica.
In altri termini, mentre il raggiungimento di livelli elevati di raccolta differenziata misura il livello di responsabilità di cittadini ed istituzioni, il livello di effettivo recupero fornisce la “cifra” del grado di responsabilità di tutto l’apparato dei rifiuti che seleziona, trita, valorizza e smaltisce i rifiuti stessi.
Nel contesto della differenziazione dei rifiuti urbani ai fini del successivo riciclo, particolare menzione deve essere fatta sui rifiuti organici.
L’obiettivo di ridurre i rifiuti urbani biodegradabili dipende dalle modalità di raccolta di questi ultimi; un’adeguata raccolta differenziata delle diverse frazioni organiche biodegradabili è fondamentale per ridurre i conferimenti in discarica di tali rifiuti.
La frazione maggiormente raccolta in modo differenziato è infatti proprio la frazione organica che costituisce circa il 43,3% del totale raccolto.
Secondo il Rapporto rifiuti urbani 2016 dell’ISPRA, nel 2015 la frazione organica registra tra il 2014 e il 2015, un incremento di circa 350 mila tonnellate e si attesta a quasi 6,1 milioni di tonnellate di cui 3,4 milioni di tonnellate raccolte nelle regioni settentrionali, 1,2 milioni di tonnellate nel Centro e quasi 1,5 milioni di tonnellate nel Sud.
In tema di riciclaggio della frazione organica è, inoltre, in fase di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale recante “i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per il compostaggio di comunità di rifiuti organici” che introduce una tipologia di impianto di piccola taglia con la peculiarità di essere gestito collettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche, in qualità di utenze conferenti nell’apparecchiatura, al fine dell’ottenimento del compost da utilizzare tra le medesime.
Nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo di riciclaggio del 50% dei rifiuti urbani e di riduzione del conferimento dei rifiuti biodegradabili in discarica, con la legge n. 221 del 2015 (c.d. “collegato ambientale”) sono state introdotte specifiche disposizioni al fine di favorire la diffusione del compostaggio; si tratta di ratica “virtuosa” che coinvolge direttamente la cittadinanza e rappresenta una delle modalità per prevenire la formazione di rifiuti (quantomeno, per evitare che entrino nel sistema di gestione dei rifiuti stessi).
In particolare, l’articolo 37 della legge n. 221 del 2015 promuove il compostaggio aerobico individuale, applicando ai soggetti che vi ricorrono una riduzione della tassa dovuta per la gestione dei rifiuti urbani.
Il successivo articolo 38 prevede che, al fine di ridurre la produzione di rifiuti organici e gli impatti sull’ambiente derivanti dalla gestione degli stessi, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, le regioni e i comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, incentivano le pratiche di compostaggio di rifiuti organici effettuate sul luogo stesso di produzione, come l’autocompostaggio e il compostaggio di comunità.
Il compostaggio individuale e l’autocompostaggio / compostaggio di comunità risultano molto importanti al fine di evitare che i rifiuti entrino nel ciclo integrato, abbassando così ab origine l’ammontare di rifiuti prodotti che vengono conferiti dai cittadini e, indirettamente, migliorando la percentuale di raccolta differenziata rispetto al totale dei rifiuti prodotti in ragione della diminuzione del “denominatore” (appunto, del quantitativo totale di rifiuti prodotti).
Di fatto, si tratta di un’attività che, ristretta all’ambito individuale / di comunità, consente di prevenire la formazione del rifiuto, o quantomeno di evitare che detto rifiuto organico entri nel ciclo integrato.
La corretta gestione della frazione organica dei rifiuti urbani concorre inoltre alla diminuzione delle emissioni di gas serra, all’incremento della fertilità dei suoli e al contrasto dell’erosione e della desertificazione, oltre a migliorare la tutela dei corpi idrici.
In conformità alla gerarchia dei rifiuti, tali pratiche rispondono ai principi di autosufficienza e prossimità della gestione dei rifiuti biodegradabili urbani, costituendo uno strumento alternativo e integrativo della gestione dei rifiuti organici dei comuni, con il beneficio di non gravare sulla gestione e sui costi del servizio di igiene urbana, in quanto il conferimento di tale frazione da parte dell’utenza conferente è autonomo ed evita l’intervento della società di gestione.
Infine, l’attività di compostaggio di comunità, al pari del compostaggio domestico, contribuisce, attraverso l’impegno diretto del cittadino nella gestione dei rifiuti, all’incremento della sensibilità ambientale collettiva.
Sempre con riferimento ai rifiuti organici, è da sottolineare l’importanza della legge n. 166 del 2016 sullo spreco alimentare che, a differenza di quella francese, non prevede sanzioni, ma ha come primo intento la valorizzazione delle buone pratiche.
Secondo gli ultimi dati diffusi da Coldiretti, dei 12,5 miliardi che vengono sprecati ogni anno, il 54% è legato al consumo domestico, il 21% al settore della ristorazione, il 15% nella GDO e l’8% nel settore agricolo.
Tra gli interventi più importanti della legge contro gli sprechi, che riguarda principalmente chi vende generi alimentari, vi sono la sburocratizzazione e lo snellimento delle procedure per chi vuole donare.
La legge apre inoltre ai Comuni la possibilità di prevedere sconti sulla tassa rifiuti per chi, invece di gettar via, donerà l’invenduto..
Riprendendo quel rapporto tra ambiente ed economia cui ho accennato all’inizio del presente intervento, vorrei fare ora qualche breve considerazione sulla c.d. “tariffa puntuale”.
Il generale principio ambientale “chi inquina paga” è stato declinato, con riferimento alla gestione dei rifiuti, mediante l’introduzione della c.d. “tariffa puntuale”, in forza della quale si paga il servizio in funzione della quantità di rifiuti indifferenziati prodotti, e non in base ai metri quadri di case o aziende possedute.
In particolare, l’articolo 42 della citata legge n. 221 del 2015 (c.d. “collegato ambientale”) interviene sull’articolo 1, comma 667 della legge n. 147 del 2013 per attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell’Unione europea.
La finalità è quella di assicurare la copertura integrale del costo del servizio, non solo per l’evidente necessità di non alterare gli equilibri finanziari ma soprattutto perché, in tal modo, si intende promuovere una responsabilizzazione complessiva di tutti i soggetti che prendono parte attiva nel sistema di gestione dei rifiuti, a partire dai cittadini coinvolti nel primo stadio della “piramide” della gerarchia dei rifiuti stabilita dalla direttiva 2008/98/CE.
Come dimostrano le prime prassi applicative della citata norma, è necessaria la previsione di una “tariffa puntuale” per i rifiuti conferiti e l’introduzione di premi per cittadini virtuosi, a loro volta da ricollegare ad una “caratterizzazione” ambientale delle varie fonti finanziarie derivanti dal ciclo integrato dei rifiuti, per conseguire una autentica “economia circolare”.
In conclusione. Per molto tempo, discariche a buon mercato sono state un disincentivo implicito a dare corso alla raccolta differenziata e al contenimento della produzione di rifiuti.
Al tempo stesso, pur se la fase della raccolta differenziata riveste particolare interesse per noi cittadini-consumatori, non bisogna sottovalutare l’obiettivo di non sprecare le risorse, incidendo così nella fase iniziale della “gerarchia dei rifiuti” di derivazione europea (corrispondente alla “prevenzione” rispetto alla creazione del rifiuto),
Infine, non si può dimenticare il ruolo decisivo del sistema impiantistico, coinvolto nella preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero per altri scopi, nonché per i rifiuti destinati a smaltimento in discarica per i quali è comunque richiesto un adeguato pretrattamento.
L’attuale e persistente crisi economica può consentire di riequilibrare scelte compiute in passato non coerenti con l’obiettivo di tutela dell’ambiente.
In tale quadro, risulta necessario creare condizioni favorevoli per una proficua sinergia tra ambiente ed economia, nell’ottica di perseguire un autentico “sviluppo sostenibile” e contribuire così a migliorare la qualità della vita di ognuno di noi.
Grazie a tutti voi per l’attenzione

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